Come un paziente entra in comunità in qualche modo “il lavoro” lo tocca da vicino. Lo tocca nella misura in cui la comunità è casa da condurre avanti, dove i collaboratori insieme con i pazienti “fanno” . Per taluni è una sorta di scandalo, più o meno espresso. L’esperienza “malattia“ è anche una sorta di involucro protettivo dai cimenti, dalle relazioni, dalle fatiche. Per qualche altro il lavoro è un’occasione da vivere con molto impegno per redimersi, per farsi accettare, per esserci. Il lavoro nella casa e per la casa è un elemento importantissimo. Polemiche, contestazioni, competizioni: dinamiche intense. Ma se tutti questi elementi vengono puntualmente raccolti, interpretati, elaborati, ad un certo punto, si pone il problema del lavoro nel mondo, come elemento di individuazione sociale, di gratificazione, di banco di prova spaventoso e insieme allettante. Alcuni dei pazienti rientreranno in famiglia per riprendere precedenti mansioni, altri dovranno iniziarne di nuove. Per tutti si pone il problema di accostarsi a questa realtà in modo graduale, adeguato, non fallimentare. La ripresa del lavoro a valle, può essere traumatica dopo la vita di comunità. Per questi motivi alla Bonne Semence favoriamo esperienze di lavoro esterne in seno a cooperative “protette” affidando i pazienti a dei tutori, per un certo periodo. In tal modo, non tanto per il contenuto del lavoro ma per il valore della tenuta, per il riabituarsi all’uso dei trasporti pubblici, alla vicinanza dei colleghi, all’esperienza delle proprie capacità, questa fase delicata diventa necessaria e di estrema importanza prima del rientro.